Eccomi di nuovo alle prese con una situazione che si ripete fin troppo spesso…
Sabato pomeriggio, in una nuova azienda che mi ha contattato per capire come migliorarla e aumentarne produttività e redditività, sto intervistando i due soci, approfittando della chiusura degli uffici per poter parlare con tranquillità.
Da molti anni, infatti, adotto questo approccio: intervisto i committenti e se vedo che posso fare qualcosa per loro, e lo posso fare in modo etico, accetto l’incarico. In assenza di questi due requisiti, rinuncio.
Alcune domande sono di rito, altre seguono il flusso della conversazione e tutto sembra andare liscio fino a quando i due soci si mettono a discutere sulle cause dell’andamento negativo delle vendite.
Il punto di partenza, le vendite appunto, è oggettivo. I dati degli ultimi tre anni sono chiari e indicano una diminuzione degli ordini e rapporti sempre più tesi con la forza vendita che reclama prezzi e sconti straordinari per fare fronte alla situazione.
Dopo un iniziale accordo sui dati, viene però dichiarata guerra. Il primo socio accusa l’altro di aver concesso sconti eccessivi e aver abbassato troppo i prezzi di listino, senza peraltro aver aumentato gli ordini, anzi peggiorando il ritorno economico delle commesse. Il secondo contrattacca affermando che ha dovuto fare questo a causa della scarsa capacità professionale dei venditori che sono stati scelti dall’altro senza interpellarlo.
Lo scontro continua per qualche minuto fino a quando mi rendo conto che non sta apportando alcun beneficio a nessuno. Si sta solo verificando quello che avviene in moltissime aziende:
Tutti parlano, ma pochi comunicano e, cosa ancora più grave, ascoltano.
La nostra società, basata sull’apparire e sull’uso dei social, non ascolta più, comunica solo. E per farlo, ovviamente, prende in considerazione solo il proprio punto di vista e la reazione dei “follower”.
Se reagiscono secondo quello che voglio, continuo, diversamente cambio comunicazione.
Ma così non li ascolto. Sto solo udendoli.
Faccio notare questa cosa ai due soci. Segue un silenzio assoluto, come se si fossero svegliati all’improvviso in un altro posto. Ripartono a litigare, li interrompo nuovamente affermando che di nuovo non si ascoltano e pongo loro una domanda irritante:
“Di che cosa vi fidate dell’altro?”
Seguono altri secondi di silenzio finché uno dei due prende l’iniziativa e lo scontro si trasforma in un fiume di parole ed emozioni. Ognuno finalmente sta ascoltando l’altro.
Non ho certo già trovato la soluzione per rimettere in sesto quest’azienda, ma so una cosa: che l’incarico lo posso accettare.
Esiste una formula per trattare con il prossimo:
1. Ascoltare quello che dice l’altro.
2. Ascoltare tutto quello che dice l’altro.
3. Ascoltare prima quello che dice l’altro.
(George Marshall)